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Rafaela: dalla favela all’oro sul tatami

Cidade de Deus è un luogo da film. Ma un film violento, amaro, feroce. Uscì nel 2004 e raccontava una storia ambientata nell'omonima favela di Rio de Janeiro. Favela è il modo in cui si chiamano i quartieri della miseria e della violenza, nella metropoli carioca: naturalmente non tutte sono uguali, ma in comune hanno una condizione di precarietà, fra case fatiscenti, violenze del narcotraffico, e a volte, come hanno documentato diversi rapporti di Amnesty International (l'organizzazione che si batte per la difesa dei diritti umani in tutto il mondo) abusi della polizia. Bene, a CIdade de Deus, proprio mentre si girava il film di Fernando Meirelles, che sarebbe poi diventato uno dei registi della cerimonia di apertura dei Giochi 2016, cresceva fra le tante una ragazza: Rafaela. All'inizio, giocava a calcio con i suoi coetanei. Poi scelse di diventare judoka. Ora è campionessa olimpica, la dimostrazione vivente della speranza: si può partire dalla povertà e dalla miseria di una favela, ma arrivare ugualmente in alto nello sport.

Ma per farlo è durissima. Rafaela Silva, oro nella categoria dei 57 kg, se l'e scritto persino con un tatuaggio sul corpo, rivelato dopo la vittoria: "Solo Dio sa quanto ho sofferto e che cosa ho dovuto fare per arrivare fino a qui". In effetti la judoka brasiliana, trascinata da un tifo pazzesco, ha dovuto scalare tante montagne per tagliare il traguardo dell'oro. A Londra, quattro anni prima, era stata eliminata nei quarti di finale per una mossa giudicata non regolamentare. La sua esclusione era stata seguita da commenti razzisti che sottolineavano le sue origini nel quartiere di Cidade de Deus. Avrebbe voluto smettere, non reggeva questo genere di insulti, ma si fece aiutare da una psicologa e divenne campionessa del mondo. Poi ebbe una nuova ricaduta. Fino alla gioia di Rio e a quelle parole in tv: "La delinquente che doveva andare in prigione ora è campionessa olimpica".

Proprio dopo la vittoria al Giochi, Rafaela ha inaugurato un asilo che porta il suo nome. Con tanti bambini che sperano di ripetere le sue vittorie. La sua favela, Cidade de Deus, era nata nel 1981 per separare il quartiere di Jacarepagua', famoso perché ospitava anche un autodromo, fra una parte ricca e una povera. Uno sciagurato obiettivo, un muro, una frattura che divide ancora la società brasiliana, muro che Rafaela ha abbattuto ma che tanti bambini come lei non riescono ancora neanche ad avvicinare.